La mia esperienza con i Garinagu

Lo scorso inverno, quando ho conosciuto Padre Roberto Lombardi, non avevo la più pallida idea di chi fossero i Garinagu, ma l’idea di portare la mia professione in Guatemala e, magari, di rendermi utile, era un sogno che avevo da alcuni anni nel cassetto; così ho colto la palla al balzo.
Sono partita per il Guatemala con l’intento di aiutare un gruppo di giovani di etnia Garifuna a mettere in scena la loro storia.

Sono un’insegnante di teatro e un’attrice. Amo il teatro e lo ritengo uno strumento di conoscenza e di ri-appropriazione dell’ identità degli Uomini e dei loro Valori. Sono sempre alla ricerca di esperienze che mi aiutino a diventare un’insegnante migliore e a mantenere vivo l’ascolto, dote indispensabile per l’insegnamento. Questo viaggio però, ha soprattutto contribuito a togliere uno strato di polvere da alcuni concetti fondamentali come gioia di condividere, orgoglio di appartenenza, senso profondo della Sacralità. Questo sono i Garifuna che ho conosciuto.

I miei allievi erano giovani tra i 12 e i 24 anni. Facevo lezione dalle 7 alle 9 di sera, ma i miei allievi non sanno cosa sia l’obbligo dettato dal tempo e arrivavano sempre almeno mezz’ora dopo.
I Garifuna dicono “Siamo noi che amministriamo il tempo, non è il tempo che amministra noi”.
Ci ho messo buona parte delle mie tre settimane per accettarlo.. con qualche compromesso da entrambe le parti… per comprenderlo, credo mi servirà almeno un altro viaggio…
Non avevano mai fatto teatro prima e così sono partita dai primi giochi ed esercizi che si fanno per risvegliare la coscienza del corpo e la percezione dello spazio nella scuola di teatro.
La cosa più divertente era il mio Spagnolo, simile ad un Gramlò di parole italiane storpiate e inglesie insieme.. loro però mi capivano benissimo! Si divertivano moltissimo quando davo loro uno scopo preciso e, soprattutto, se introducevo un pericolo concreto, come l’espulsione dal gioco in caso di errore. Sono molto concreti. Del resto, come fanno a non esserlo, vivendo in baracche con il tetto in lamiera, alcuni senza acqua potabile in casa e con l’unica prospettiva, se va bene, di poter emigrare negli Stati Uniti?… Eppure i miei allievi sono dotati di una grandissima sensibilità e di uno stupore che noi Europei non abbiamo più. Lo stupore di chi si lascia ancora sorprendere dalla vita ed è in contatto, senza alcun filtro, con una parte molto profonda del proprio cuore. Quando ho raccontato la storia di Romeo e Giulietta che loro non conoscevano, (così come non avevano mai sentito nominare Shakespeare) alcuni di loro avevano le lacrime agli occhi. Mi chiedevano “Perche? Perchè i Capuleti e i Montecchi non avevano fatto pace prima? Perchè arrivare alla morte dei loro figli per capire?”…
Queste sono domande che molti adolescenti, durante la tournèe dei miei spettacoli di Shakespeare, mi fanno, ma mai con le lacrime agli occhi come i miei allievi Garinagu.

Sono state diverse volte a Livingston, piccola cittadina vicina a Puerto Barrios dove vivono la maggior parte dei Garinagu. La cittadina è raggiungibile solo con il motoscafo ed è un luogo dove il tempo è veramente al servizio degli abitanti e non viceversa. Un sole cocente, una strada principale trafficata di bancarelle per turisti e banchetti della frutta che dal porto attraversa la città e si dirama in piccole vie laterali semi deserte dove qualche cane si sdraia in mezzo alla strada per trovare sollievo dal caldo. Musica caraibica mista ai ritmi africani che esce da diverse case e ristoranti, tanti panni stesi, tanti sorrisi. Ho incontrato qui Sofia Blanco, insegnante di danza e cantante dalla voce antica, che nella voce sa mettere anche il sapore del mare, del tempo e di quella saggezza nata dalla fatica di entere generazioni. Con Sofia ho condiviso la mia idea di portare sul palcoscenico la storia del suo popolo e lei ha condiviso con me il suo profondo rispetto per le tradizioni della sua gente e la necessità di non dimenticare mai la dignità, costruita dagli antenati e fortificata dalle esperienze, a volte dolorose, della vita. Spero che Sofia sarà con me in questo avventura.

L’avventura dunque è cominciata. E la necessità di intraprenderla si è consolidata piano piano, a tappe, durante la mia permanenza a Puerto Barrios.
Saranno stati gli occhi del padre di Chacho: senza gambe e sulla sedia a rotelle, si è costruito la sua bara quando ancora aveva la forza di farlo ed ora sta là nella capanna di fianco alla casa, ad aspettarlo. Saranno stati i sorrisi di Denise e degli altri piccoli: il secondo giorno si sono presentati con il loro nome scritto su un pezzetto di carta attaccato al collo, così potevo ricordarmi il loro nome. Saranno stati i tamburi in una notte trascorsa al loro tempio: mi sono vergognata della mia fragilità nel vedere la loro fede e l’intento, puro e fortissimo, delle loro preghiere.
Fatto sta che ora non posso non tornare a Puerto Barrios. Come mi hanno detto gli amici Garinagu, quel posto è anche la mia casa adesso.

I miei studenti stanno continuando a studiare con Elsy, che mi ha adottato come sorella fin dal primo giorno e che mi ha scarrozzato in motorino per la città tra le gigantesche pozzanghere lasciate dagli acquazzoni serali oltre che a porsi immediatamente al servizio di questo progetto con la generosità tipica del suo popolo.
Ho lasciato agli studenti alcuni libri di teatro, loro hanno lasciato a me molto di più.
Li ringrazio tutti uno per uno: Anthony Havier, Axel, Norma, Josseline, Anthony, Rocell, Karla,
Rubèn, Alexis, Gustavo, Alex.

Concludo con questa poesia, su cui i ragazzi hanno fatto pratica di recitazione durante le nostre lezioni e che racconta così bene l’essenza di questo popolo, mai fatto schiavo, fiero di sé e della sua storia, con il cuore pieno di gratitudine per i doni che la vita e il destino hanno saputo offrirgli, innamorato di Dio, perchè prima di tutto è un fratello, e i fratelli non si abbandonano mai.

EL DIA QUE YO MUERA

Oggi seppelliamo una delle nostre sorelle Garifuna
Oggi seppelliamo uno dei nostri fratelli Garifuna
Lo lasciamo nelle mani di Nostro Signore!
Cantando le nostre canzoni Garifuna.

Oggi seppelliamo uno dei Nostri
Perchè quando loro muoiono,
Non sono né Americani, né Belisegni, né Honduregni o Guatemaltechi
Loro sono solamente Garifuna!

Il giorno che morirò,
che mi seppelliscano vestita con il mio Gudu
e mi mettano il mio Musuwe sulla testa.

Il giorno che morirò
che i tamburi suonino per me a tutto spiano…
perchè i miei antenati sappiano che sto andando a casa!

Il giorno che io morirò,
Che coprano il mio feretro con la bandiera Garifuna!
Cosicchè coloro che non sapevano che ero Garifuna in vita
lo sappiano il giorno che morirò.

Poesia di Cheryl Noralez
tradotta da Laura Pasetti

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